SEZIONE: ISTITUZIONI, ASSOCIAZIONISMO E RIFORME
Istat

Nei Comuni poco turnover e personale anziano

29 Ottobre 2024
 

Di recente Istat ha pubblicato il Rapporto sulle Istituzioni Pubbliche 2024. Obiettivo del Rapporto, fornire un quadro completo delle principali dimensioni del sistema della pubblica amministrazione e tratteggiare aree di criticità, come l’invecchiamento del personale, e sforzi di innovazione e cambiamento, quali gli investimenti in tecnologie digitali.
 

Attraverso 26 quadri e 6 approfondimenti tematici sono rappresentati una selezione di aspetti relativi a: l’articolazione strutturale e territoriale del sistema delle istituzioni pubbliche; le caratteristiche delle risorse umane impiegate; i cambiamenti e le aree di possibile miglioramento nell’offerta di servizi; l’impegno attuale per la digitalizzazione delle amministrazioni; la governance delle istituzioni e i rischi di corruzione; i progressi nel favorire la sostenibilità ambientale.
 

In molti casi il Rapporto prende in considerazione la situazione particolare dei Comuni. Paragrafi interessanti, in tal senso, riguardano il personale, i servizi e la digitalizzazione.
 

Partiamo in questo articolo dal personale. Un dato globale relativo alle dimensioni del settore pubblico in Italia ci dice che al 31 dicembre 2020 erano 12.780 le Istituzioni pubbliche (IP) attive, con 104 mila sedi di lavoro (unità locali) dislocate sul territorio nazionale e all’estero e 3 milioni e 396 mila dipendenti, comprese le forze armate e di sicurezza e i dipendenti all’estero presso ambasciate, consolati e altre sedi di rappresentanza. Quasi due terzi delle IP è rappresentato dai Comuni (61,8%); tuttavia, in termini di unità locali questi rappresentano circa un terzo del totale delle IP, e poco più del 10% in termini di dipendenti.
 

Un paragrafo del Rapporto analizza nello specifico l’invecchiamento e il turnover del personale nei Comuni. Considerato che un elemento caratterizzante di queste realtà è l’erogazione di servizi di prossimità, che assolvono importanti funzioni inerenti alla vita dei cittadini, il Rapporto segnala una contrazione delle risorse umane disponibili e una quota crescente di dipendenti anziani.
 

In un solo decennio (2011-2021) nei Comuni si è registrata una perdita complessiva di circa 80mila dipendenti (-20%), più accentuata nel Mezzogiorno (-24,3%) rispetto al Centro-Nord (-17,8%). Si è passati da una media di 50 unità per Comune a 42 (da 69 a 62 ogni 10mila abitanti), e la quota a tempo pieno si è ridotta dall’89,2% all’83%. Stando al Rapporto la principale determinante di tale riduzione è rappresentata dal blocco del turnover, che ha caratterizzato buona parte del periodo indicato (fino al 2018), limitando il fisiologico avvicendamento del personale. “Non a caso”, si legga nel Rapporto, “nei Comuni la componente contrattualizzata in quella fase ha una consistenza relativa molto modesta: dal 2011 al 2015, appena il 5,4% del totale (12% nelle restanti IP)”. L’ allentamento dei vincoli ha consentito un ingresso più sostenuto di nuove leve, benché ancora di minore intensità nei Comuni, dove attualmente oltre il 70% dei dipendenti ha iniziato questo lavoro prima del 2010 (contro circa il 60% nelle restanti IP).
 

L’insieme di questi fenomeni, unitamente alle restrizioni ai requisiti per l’accesso alla pensione intervenute nel 2011, ha accentuato l’invecchiamento e confermato la femminilizzazione degli organici comunali (56,5% del totale). Pochi i dipendenti giovani: nel 2021, soltanto l’1,9% dei dipendenti dei Comuni aveva un’età inferiore ai 30 anni e poco più del 10% ne aveva meno di 40, mentre gli ultrasessantenni sono passati dal 7,3 (2011) al 21,4% (2021).

Queste tendenze sono meno accentuate nel resto delle IP, dove nel 2021 ha meno di 40 anni il 19,2% e gli ultrasessantacinquenni sono il 15,8%.
 

Va detto che l’invecchiamento degli organici comunali è generalizzato: a livello nazionale, tra il 2011 e il 2021 l’età media è cresciuta da 49,5 a 52,3 anni e oggi è particolarmente elevata in alcune regioni del Mezzogiorno, sfiorando il 57 anni in Sicilia, e avvicinandosi ai 55 in Calabria, Campania e Molise. L’età media è cresciuta molto rapidamente anche in alcune regioni del Nord (quasi 4 anni in Veneto e in Trentino-Alto Adige, 3,5 in Lombardia), pur restando più bassa della media nazionale.
 

Un elemento che aiutano a comprendere questi divari territoriali è la distribuzione dei canali specifici del reclutamento e delle cessazioni, è possibile comprendere meglio le determinanti e gli esiti di tali divari territoriali. “Riguardo alle assunzioni”, sottolinea il Rapporto, “il concorso pubblico è la modalità tipica, prevalente nel Centro-Nord, ma non nel Mezzogiorno, data la particolare consistenza dei processi di stabilizzazione (il 36,2%), con sanatorie di bacini di precariato storico, in primis Lavori di pubblica utilità e Lavori socialmente utili, e quindi di lavoratori per definizione non più giovani: ciò spiega in certa misura la maggiore anzianità osservata. La struttura demografica molto matura, insieme alla scarsità di alternative di mobilità e sul mercato del lavoro locale, si riflettono nel peculiare rilievo di cessazioni dovute al raggiungimento dei requisiti pensionistici nei comuni del Sud e delle Isole rispetto a quelli del Centro e, soprattutto, del Nord”.

 

Nei prossimi articoli ci soffermeremo sui Servi locali dei Comuni e la transizione digitale.

(SM)

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