SEZIONE: TECNOLOGIA E INNOVAZIONE
Studi e Ricerche

La lenta crescita del digitale in Italia

6 Dicembre 2019
 

Uno studio di fine novembre della Corte dei Conti (“Referto in materia di informatica pubblica”) mostra la lentezza della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione. La Corte rileva il ritardo nella costruzione di un e-governement caratterizzato da un basso livello sia sul fronte della digitalizzazione che su quello della diffusione.


 

La Commissione Europea ha da tempo sviluppato un indice che misura la diffusione del digitale nei Paesi dell'Unione, meglio noto come Desi,  Digital economic strategy index. Secondo questo indice, l'Italia occupa nel 2019 il 24° posto sui 28 Paesi europei (abbiamo migliorato di un posto rispetto all'anno precedente). Il Desi, in particolare, evidenzia come le iniziative di trasformazione digitale si muovano a una velocità inferiore a quella della media europea. In poche parole, l'attuazione dell'agenda digitale risulta lenta.  Nel gruppo di Paesi al di sotto della media ci fanno compagnia Romania, Grecia, Bulgaria, Polonia, Ungheria, Croazia, Cipro e Slovacchia.


 

Lo studio tuttavia pone in evidenza alcuni miglioramenti, sul fronte della connettività, dove siamo passati dal posto 26 del 2018 al 19 di quest'anno, e dei servizi pubblici digitali, dal 19 al 18.

Per quanto riguarda quest'ultima area il Referto segnala che gli indicatori che la compongono “mostrano andamenti altalenanti rispetto alla media UE”. Alcuni indicatori si posizionano ben al di sopra della media (è il caso, per esempio, del settore degli open data), mentre altri (tra cui l’e-government) risultano invece molto bassi. Gli open data hanno registrato una notevole crescita,  migliorando sensibilmente la posizione del nostro Paese in classifica (attualmente al 4° posto) e superando ampiamente la media UE (80% su una media del 64%). Buoni risultati si sono avuti sul fronte della completezza dei servizi online è al di sopra della media (l’Italia è al 12° posto)e dei servizi digitali pubblici rivolti alle imprese che si colloca al 17° posto con una percentuale pari alla media UE (85%).


 

Come detto, gli indicatori di e-goverment risultano su livelli piuttosto bassi. In particolare la categoria degli “utenti e-government”, che vede lItalia al penultimo posto in classifica fra i Paesi UE: si tratta di un risultato addirittura peggiore di quello registrato per l’uso di altri servizi online. “Ciò potrebbe essere” spiega la Corte “il sintomo di qualità non adeguata dell’offerta per quanto riguarda l’utilizzabilità dei servizi pubblici: l’utilità, l’usabilità e la facilità di utilizzo rappresentano una forte motivazione per i cittadini ad adottare i servizi digitali”.

Va detto a tale proposito che, nel corso dell’ultimo biennio, AgID e il Team per la trasformazione digitale hanno lanciato numerose iniziative per migliorare l’usabilità e l’accessibilità dei servizi digitali. Il Piano triennale, per esempio, prevede una sezione dedicata ai servizi digitali con le “Linee guida di design per i siti e i servizi della Pubblica amministrazione” con l’obiettivo di promuovere l’usabilità dei servizi digitali già esistenti.


 

Altro capitolo negativo è quello che riguarda il capitale umano (siamo scesi di un posto rispetto al 2018). Nello studio si legge: “il Paese  manca ancora di una strategia globale dedicata alle competenze digitali, lacuna che penalizza quei settori della popolazione, come gli anziani e le persone inattive, che non vengono fatti oggetto di altre iniziative in materia”.

Il Referto analizza altri punti, dall'uso dei servizi internet all'integrazione delle tecnologie digitali. Anche in queste area il Paese sconta una certa arretratezza, occupando la parte bassa della classifica.

 

Eppure le risorse economiche non mancano. La Corte così si esprime: “ Appare difficilmente invocabile la scarsezza di risorse pubbliche tout court per giustificare il mancato raggiungimento dei risultati attesi. Le stime più accreditate dichiarano una spesa complessiva di circa 5,8 miliardi l’anno per l’informatica pubblica, tra risorse nazionali e comunitarie”.

I due maggiori comparti che si dividono la spesa sono le amministrazioni centrali (45%) e quelle locali, che nell'ultimo biennio hanno registrato una spesa media superiore a 1,4 miliardi di euro. Nel comparto sono incluse Regioni e Province autonome, che coprono poco meno della metà della spesa della Pa locale, mentre la restante parte è relativa a Province, Comuni, Città metropolitane, consorzi tra amministrazioni locali, Unioni di comuni, Comunità montane, comunità isolane e altri Enti locali.

Dunque, non è un fatto legato alle risorse, bensì, ravvisa il Referto, al loro utilizzo: “vengono utilizzate in misura limitata e non sempre nel modo più razionale”. È necessario, secondo la Corte dei Conti, “un coordinamento delle varie Pa, affinché i fondi disponibili vengano indirizzati nel modo migliore, in modalità sinergica e con obiettivi condivisi a livello centrale”.

 

Per informazioni

Il “ Referto in materia di informatica pubblica” si può scaricare dal sito della Corte dei Conti

(SM)

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