SEZIONE: FINANZA E TRIBUTI

Patti di stabilità? Troppo alti

3 Marzo 2009
 
I Comuni sono stati in questi anni i soggetti istituzionali che hanno investito di più, sia rispetto allo Stato che alle Regioni e Province. Tutti i dati ormai concordano nel sottolineare questo aspetto. I Comuni rappresentano il 65% degli investimenti di questo nostro Paese ed hanno contribuito più degli altri livelli istituzionali al risanamento delle finanze pubbliche. Ne consegue che in una situazione di crisi sarebbe logico sostenere chi è capace di effettuare investimenti pubblici che hanno una funzione anticiclica. Invece i Comuni sono alle prese con obiettivi del patto di stabilità troppo alti: 1,3 miliardi nel 2009; 2,5 nel 2010, 3.3 nel 2011. Se le cose restassero così la conseguenza sarebbe non solo ridurre gli investimenti come testimonia il rapporto IFEL, che indica una riduzione da 18 a 13,5 miliardi di Euro, ma addirittura bloccarli e non poter garantire servizi alla persona che hanno permesso di mantenere coese socialmente le nostre città e far fronte ai periodi di difficoltà economica delle famiglie. Eppure i Comuni sono stati il livello istituzionale che ha contribuito al risanamento diminuendo la spesa e superando gli stessi obiettivi a loro proposti. Inoltre, come purtroppo ormai si ripete ogni anno, le regole del patto di stabilità a complicano le cose e ad impediscono ai Comuni di spendere per investimenti nonostante abbiano le risorse in cassa dovute ad esempio agli avanzi di amministrazione. Sempre nel rapporto IFEL si indicano in 15 miliardi i fondi propri che i Comuni potrebbero utilizzare da subito. Né, a nostro parere, è positivo quanto previsto dal testo della finanziaria che esclude le penalizzazioni previste per chi non rispetta il patto a causa di spese per investimento che sono autorizzate dal Ministero de l’Economia. In tempi di federalismo è proprio coerente che gli investimenti dei Comuni debbano essere approvati da un ministero! Si decida, invece, quale è la parte di investimenti che i comuni possono attuare utilizzando i propri avanzi e i propri residui passivi e lasciamo a loro decidere quale opera realizzare nell’interesse della propria comunità dando, così, concreta attuazione a quanto prevede l’odg approvato dal Parlamento sull’esclusione dal patto delle spese di investimento dei Comuni. Negli anni scorsi abbiamo avanzato la proposta di costruire un patto di stabilità a livello regionale che potesse meglio aderire alla specificità dei Comuni di un determinato territorio. Oggi, sia con la L. 133/08 sia con il disegno sul federalismo fiscale, questo è possibile. È possibile cioè adattare criteri e modalità del patto a livello regionale attraverso un necessario consenso del mondo delle Autonomie Locali. È una sfida per le stesse Anci regionali che vogliano sperimentare questo percorso. In alcune regioni, a partire dalla Lombardia, si è aperta la strada istituendo un apposito tavolo di confronto per elaborare proposte. Siamo ormai abituati a comportamenti dello Stato che non brillano certo per coerenza. Mentre da una parte si discute finalmente in modo concreto di federalismo fiscale e di “carta delle Autonomie” che dovrebbe definire le funzioni fondamentali dei diversi livelli di governo locale, dall’altra non solo si toglie ai Comuni l’ICI, cioè la tassazione immobiliare che in tutta Europa caratterizza i Comuni, ma non gli si riconosce nemmeno la compensazione dell’intera cifra come pure era stato assicurato dal Governo. Questo mette in gravissima difficoltà i Comuni che si trovano cambiate le regole in corso d’anno. La finanza locale è stata messa in crisi anche dai tagli dovuti ai presunti risparmi dei costi della politica che sono stati come avevamo detto inferiori alle previsioni mentre i tagli sono rimasti per intero. Nonostante questo si continua a ritenere che i Comuni siano un centro di sprechi ignorando sia quali sono i compensi dei consiglieri comunali sia che il vero costo della politica è rappresentato dal sovrapporsi di compiti, funzioni e responsabilità che allunga a dismisura i tempi di ogni realizzazione e che impedisce di individuare con certezza, da parte del cittadino e dell’impresa, chi ha la responsabilità di fare e decidere. Siamo sempre disponibili a ragionare anche sulla riduzione del numero dei consiglieri comunali e delle giunte purchè all’interno di un provvedimento complessivo e che investa anche gli altri livelli istituzionali a partire dal parlamento e dai Consigli regionali. Per non parlare della preoccupazione che abbiamo quando vediamo i tagli al fondo sociale che ricadrà direttamente sui Comuni con una decurtazione dei servizi offerti. Si può continuare a tagliare ancora? Si sappia però che non si potrà chiedere ai Comuni di svolgere servizi per cui non ci sono risorse. Nella discussione sul federalismo fiscale noi chiediamo che ai Comuni venga riconosciuta autonomia impositiva, che non si torni ad una finanza derivata che deriva risorse dai trasferimenti statali, che ai Comuni vada una imposta che razionalizzi quelle che oggi gravano sulla casa e una compartecipazione all’Irpef e all’IVA. Il movimento dei sindaci del Veneto ha avanzato la proposta che, in attesa della realizzazione del federalismo fiscale, ai comuni venga riconosciuta la compartecipazione dell’Irpef al 20%. Noi condividiamo spirito e scopo della proposta e pensiamo debba essere messa al centro delle riflessioni e delle valutazioni da fare col governo insieme alle necessarie perequazioni in modo da non lasciare sole e in difficoltà intere zone del paese. Si può discutere sulla percentuale, se del 20 o del 15, ma è giusto mettere al centro l’esigenza di autonomia finanziaria dei Comuni. Sosteniamo che insieme al federalismo fiscale ci sia l’attuazione anche del federalismo istituzionale, che oltre alla sussidiarietà orizzontale si pratichi anche la via della sussidiarietà verticale: si individuino le funzioni e le responsabilità dei diversi livelli di governo superando sovrapposizioni di compiti e funzioni e restituendo lo scettro delle scelte a chi viene eletto dai cittadini e non ad apparati burocratici. Abbiamo valutato positivamente sia il testo sul federalismo fiscale sia quello presentato sulla “Carta delle autonomie” anche se presentano tuttora forti genericità. Nella discussione parlamentare alcuni punti sembra si stiano chiarendo, primo tra tutti quello di assicurare l’autonomia finanziaria ai comuni. Non faremo certo mancare il nostro contributo a definire i criteri e l’attuazione del federalismo fiscale e di quello istituzionale a partire dal superamento del criterio della spesa storica per definire i costi di svolgimento dei servizi.
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