SEZIONE: TECNOLOGIA E INNOVAZIONE
STATISTICHE

Smart Working, chi lo ha provato continua nel 48 per cento dei casi

18 Giugno 2020
 

Ora che sembra essersi leggermente allentata la morsa della pandemia di Covid-19, inevitabile chiedersi cosa accadrà alle tante nuove abitudini che siamo stati costretti ad assumere. Prima fra tutte, il lavoro da remoto, il cosiddetto smart working che molti liberi professionisti già conoscevano ma che per tanti, abituati al lavoro a tempo pieno in ufficio, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione. ANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager, e Aon, hanno analizzato come è cambiata la vita lavorativa degli italiani nella ricerca “Lo smart working in Italia, tra gestione dell’emergenza e scenari futuri”, che ha coinvolto dipendenti di aziende di tutte le dimensioni, grandi imprese (45%) e micro e piccole imprese (44%).


Prima della pandemia, in smart working solo il 30%. Ora siamo all'80%
Secondo quanto emerso dall’indagine, prima della pandemia solo il 31% dei dipendenti poteva usufruire dello smart working, e non su base quotidiana mentre, allo stato attuale, i lavoratori che proseguono completamente l’attività da remoto rappresentano quasi l’80%. Uno stravolgimento imposto dalla situazione emergenziale, che ha fatto riflettere sui vantaggi ma anche sui limiti di questo strumento, e soprattutto ha permesso di “sfatare” qualche mito.
Le aziende che in precedenza non usufruivano di questa modalità infatti basavano la propria decisione sulle possibili problematiche relative a pianificazione, gestione e controllo delle attività (44%), sulla mancanza di una strumentazione idonea (29%) o sul timore di un calo della produttività (26%). Risposte che denotano una cultura aziendale non basata sulla condivisione di fiducia e obiettivi ma ancora sul controllo, un retaggio tradizionale che mostrato i suoi limiti in questo periodo. Quando il virus ha reso necessario il distanziamento sociale anche i più scettici, per garantire l’operatività, hanno comunque dovuto ricorrere allo smart working, e l’attuazione pratica ha smentito diverse delle problematiche ipotizzate.
I lavoratori hanno riscontrato che oltre il 70% delle proprie attività può essere svolto da remoto, anche se rimane una certa difficoltà nella pianificazione e gestione delle attività (che però scende dell’11% rispetto alla percezione pre-Covid), probabilmente perché la repentinità imposta dall’emergenza non ha consentito una migliore organizzazione in tal senso. “Tra i motivi d’impedimento all’utilizzo dello Smart Working prima dell’emergenza, numerosi sono stati i riferimenti a una ‘mancanza di cultura’ tra i piani alti, un preconcetto legato alla mancanza di fiducia nei propri dipendenti che si trovano a fare lo stesso lavoro, ma da casa, secondo tempi e ritmi diversi. Questa visione si è ‘allentata’ quando lo Smart Working è entrato a far parte della nostra quotidianità, seppure, in maniera forzata: le aziende hanno performato bene, nonostante le difficoltà che tutte le organizzazioni, in misura minore o maggiore, hanno riscontrato.” commenta Alessandro De Felice, Presidente ANRA.
 

La mancanza di confronto con i colleghi ha creato squilibri psicologici
Tra i problemi effettivamente riscontrati infatti quelli relativi a cali di produttività scendono al 6° posto con il 12,35% (perdendo oltre la metà). Al secondo posto il 31% segnala il rapporto con clienti e terze parti, probabilmente per la poca abitudine ai nuovi strumenti di comunicazione, che ha rappresentato un ostacolo al confronto, soprattutto per i professionisti più maturi. In terza posizione sorprendentemente emerge una componente più emotiva, ipotizzata solo al quinto posto: quasi il 30% sottolinea come problematica principale l’impatto sullo stato d’animo e sull’engagement dei lavoratori. L’abitudine al lavoro in presenza da una parte, e la mancanza di una cultura aziendale basata sulla condivisione di valori dall’altra, hanno probabilmente risentito del repentino e forzato isolamento, al quale tuttavia le aziende hanno cercato di fare fronte con una serie di iniziative. Il 68% delle imprese è riuscito a programmare momenti di confronto periodici con i propri dipendenti, come coffee break digitali, aperitivi virtuali, videocall. Il 45% ha inoltre fornito servizi aggiuntivi come corsi di formazione, supporto psicologico o alla genitorialità e corsi sportivi.
 
Smart working, quali vantaggi?
Ai primi posti dell'analisi di vantaggi e svantaggi si ritrovano elementi correlabili al fattore tempo e al bilanciamento tra vita lavorativa e non. Tra i pro, il 47% evidenzia infatti la possibilità di gestire con più autonomia i propri orari di lavoro e il 43% un migliore equilibrio tra vita privata e professionale. Tra i contro, pesano invece la mancanza di separazione tra ambiente lavorativo e domestico (48%) e soprattutto la grande difficoltà nel limitare le ore dedicate al lavoro (58%). Polarizzazioni che sembrerebbero contraddirsi ma sono in realtà dovute al fatto che i lavoratori si sono trovati a passare da un estremo all’altro, e dunque le loro percezioni sono risultate estremizzate.

Per il 48% sarà la nuova normalità
Che la particolarità della situazione abbia influito sulle risposte emerge anche nella rilevazione in merito alla convinzione che lo smart working rimarrà come modalità di lavoro principale anche nel “New Normal”: lo sostiene il 48% di chi ne ha effettivamente usufruito, ma addirittura il 64% di chi non ne ha avuto la possibilità. Una differenza che si spiega considerando che chi ha effettivamente sperimentato il lavoro agile ne ha una visione più lucida, disincantata, avendone sperimentati effettivi vantaggi e svantaggi. (VV)

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