SEZIONE: AMBIENTE, ENERGIA - TECNOLOGIA E INNOVAZIONE
TECNOLOGIA

Le città italiane? Ancora troppo poco smart

30 Ottobre 2015
 

Il 29 ottobre 2015 è stato presentato dall’Energy Strategy Group del Politecnico di Milano lo Smart city report. Nella ricerca sono stati analizzati i progetti di 101 città (51 europee e 50 italiane, scelte in base al numero di abitanti), con l’obiettivo di individuare un business model adatto alla creazione di smart city. Sono stati quindi identificate due dimensioni che indicassero il grado di smartness delle città. La prima dimensione è l’ampiezza, ossia la misura del livello di copertura delle tecnologie abilitanti da parte dei progetti intrapresi dalle città. Sono 9 le tecnologie abilitanti, raggruppate in tre famiglie:
- smart living, ovvero tecnologie per il consumo efficiente di energia applicabili agli edifici e alla pubblica illuminazione;
- smart mobility, ovvero tecnologie per lo sviluppo efficiente della mobilità urbana (trasporto intelligente, mobilità elettrica sistemi di condivisione dei mezzi);
- smart environment, ovvero tecnologie per la produzione in loco di energia, la gestione e trasmissione dei flussi energetici, il recupero delle risorse.
A queste famiglie si correla poi l’ICT, ovvero le tecnologie per la trasmissione, la ricezione e l’elaborazione di informazioni.
La seconda dimensione esaminata è la profondità, ovvero la misura del livello di penetrazione all’interno delle città. In altri termini la percentuale di popolazione toccata direttamente dai progetti.
Per le città europee (le due maggiori città dei Paesi UE)  la copertura alta delle tecnologie comprende almeno 4 ambiti tecnologici e la profondità riguarda almeno il 30% della popolazione. Per l’Italia la soglia è stata ridotta a 2 componenti e al 20% di popolazione toccata, anche in considerazione delle minori dimensioni di alcune città esaminate.
 

Dalle eagle alle turtle cities
Sia per le città europee che per quelle italiane sono state individuate 4 categorie: eagle cities, le città che si possono definire smart, gazelle cities, che sono all’inseguimento dei modelli più virtuosi, lion cities, con una bassa copertura tecnologica ma un’alta ricaduta sulla popolazione, turtle cities, che, pur avendo un progetto, sono ancora, per così dire, ai nastri di partenza.
Fra le eagle italiane le più avanzate risultano Milano e Torino e la nostra regione piazza fra le 7 anche Bergamo e Brescia. Tuttavia se rapportate al quadro europeo, solo poche fra queste riescono a piazzarsi nella categoria gazelle cities.
La ricerca ha puntualizzato i motivi di questa distanza dalle realtà europee. In prima battuta c’è, da parte della città italiane, l’adozione di un modello di sviluppo additivo (contro un modello di sviluppo organico). In questo modello, evidenziano i ricercatori, il ruolo principale di promotore dei progetti è affidato alla P.A. e il supporto dei privati è piuttosto limitato. Manca una cabina di regia che guidi lo sviluppo.
L’adozione di questo modello, continuano i ricercatori, è favorito dalla scarsa diffusione del partenariato pubblico-privato (il PPP molto più utilizzato in Europa), dall’elevata burocratizzazione, ma soprattutto, a nostro avviso, dalla ridotta capacità di spesa delle P.A. (leggi soprattutto patto di stabilità, tagli ai trasferimenti e quant’altro).
Ci sono tuttavia possibilità di crescita, rimarcano i ricercatori, a patto però di riuscire a fare sistema. Si legge nella ricerca: “La trasformazione è possibile se gli attori in gioco saranno in grado, attraverso una cabina di regia condivisa e forme di finanziamento PPP appositamente studiate, di sopportare gli orizzonti di investimento e la invasività di questi interventi”.
Per maggiori informazioni si veda il sito dell’Energy strategy group.

(SM)

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